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di
Alberto Bobbio
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INIZIATIVE
"I SANTI NELLA STORIA"
I
PROFETI DELL’AMORE
Da Vincenzo de Paoli a Madre Teresa: i
testimoni della carità indicano la strada ai cristiani. «Non sono miti
irraggiungibili», dice don Nozza, «ma esempi da seguire».
Indicano un cammino di
fede e contestano sicurezze. Don Vittorio Nozza, direttore della
Caritas italiana, sottolinea che «chi serve la carità pratica la Parola».
È innumerevole la schiera dei testimoni della carità, da Vincenzo de’
Paoli a Madre Teresa, da Martino di Tours al Cottolengo. Il Papa, nell’enciclica
Deus caritas est, spiega che la carità costituisce l’identità del
cristianesimo ed elenca qualche nome, stelle nel firmamento di chi serve la
carità.
- Perché, don Vittorio, sono importanti i testimoni?
«Perché la fede non è un ragionamento, non è un’idea,
ma una persona. E nei secoli si è alimentata della testimonianza di tanti
che hanno preso sul serio l’incontro con quella persona. Se noi ne
seguiamo le tracce, capiamo che la misura della testimonianza non è il
piccolo cabotaggio, a volte, delle nostre opere e delle nostre preghiere,
delle nostre celebrazioni, ma il vigore di riconoscere Cristo risorto come
speranza del mondo».
- Nelle nostre parrocchie c’è la Parola, c’è la
liturgia, ma accade che si dimentichi la carità, lasciata ai
professionisti delle opere, anche nella Chiesa. Una strana dimenticanza?
«Accade perché a volte si ha paura della carità, che
non è solo fare qualcosa, ma anche denunciare, ascoltare i problemi del
territorio, farsi carico dei dolori. I vescovi italiani nella nota pastorale
intitolata "Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che
cambia", hanno detto che c’è bisogno di parrocchie che siano
case aperte, che si prendano cura dei poveri, che collaborino con gli altri
soggetti sociali e le istituzioni. Lo devono fare perché al centro, in ogni
pensiero e azione della Chiesa, devono esserci l’uomo e la sua dignità. I
grandi santi della carità non hanno inventato opere memorabili perché
erano degli abili organizzatori, ma perché hanno praticato la Parola di Dio».
- Cioè, lei dice che a volte c’è una lettura parziale
della Parola di Dio?
«È possibile. Una Chiesa chiusa nel tempio o abbarbicata
attorno al campanile si sottrae alle grida degli uomini e dimentica in
questo modo la fedeltà alla Parola, ma anche al pane del suo Dio. Invece, i
pulpiti devono essere sempre tre: Parola, Liturgia e Carità.
Non si può ridurre la fede a belle celebrazioni o a intense predicazioni.
La vita dei santi della carità spiega come si deve fare».
- Non si corre il rischio di mitizzarli?
«Un testimone non è un mito. È un esempio, è un
maestro. E non dimentichiamoci che accanto alle grandi figure ci sono
schiere di santi della carità sconosciuti. Per capire chi sono, bisogna
leggere la parabola del buon samaritano e scovarne tutti i significati».
«Il samaritano è uno capace di ascoltare le voci
disperate di tanta gente, di osservare il territorio. È in grado di
intervenire, di coinvolgere altri soggetti, anche l’albergatore, cioè è
capace di sollecitare le istituzioni. Insomma, non agisce da solo e poi va
per la sua strada. Cioè non è un professionista della carità. Il modello
che ci indica il Vangelo non è quello del puro e perfetto intervento
materiale, ma dice che dobbiamo metterci in gioco e spiegare agli altri che
la carità è amore, che il Regno di Dio si costruisce "in parole e
opere". Invece, spesso lo dimentichiamo».
- Dipende forse da una lettura affrettata del Vangelo?
«Sì, oppure da una lettura della quale si coglie solo
ciò che si vuole. Gli Atti degli Apostoli spiegano bene come la vita
del cristiano dev’essere intrecciata tra Parola, celebrazione e carità.
Giovanni Battista, a chi gli chiedeva cosa bisogna fare per seguire la via
del Signore, diceva: chi ha due tuniche ne deve dare una a chi non ce l’ha.
I grandi santi della carità hanno messo in pratica quella Parola. Ma essa
non è cosa troppo impegnativa, da lasciare solo ai santi. Non è un
miraggio, la santità. Perché non lo è Gesù. Lui si è rifiutato di
trasformare le pietre in pane, non ha sedotto con prodigi, non ha costruito
un sistema politico per il riscatto dei deboli. Ha soltanto amato gli uomini».
- Qual è il santo della carità che lei ama ricordare?
«San Martino di Tours, la giovane guardia imperiale che
in un inverno rigidissimo regala la parte più calda del suo mantello a un
poveraccio, di cui nessuno si occupava. Non solo dà del suo e lo scalda, ma
cambia la vita al povero, gli restituisce dignità, lo copre alla vista dei
passanti indifferenti. L’accento va posto sul vestito e richiama l’immagine
della veste bianca che la Chiesa dona nel battesimo: il dono della dignità
dei figli di Dio, liberati dal peccato».
I
SANTI D’ORO IN REGALO
Le 13 miniature in regalo con "I Santi nella
storia" sono tratte dalla collezione Gloriae, le miniature dei
santi, edita da Pubblicazioni-Collezionare cultura, che raccoglie 600
miniature pregiate d’epoca. Se vuoi scoprirle tutte e collezionare l’opera,
puoi trovarle in edicola fino ad agosto 2007; ogni settimana
uscirà una confezione contenente 15 nuove miniature. Per altre informazioni: www.collezionarecultura.it;
www.pubblicazioni.biz.
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SETTEMBRE:
GENNARO E LA PIETÀ POPOLARE
È dedicato al mese di settembre il nono volume della
serie "I Santi nella storia", allegato al prossimo
numero di Famiglia Cristiana. Nell’introduzione, il cardinale
Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, si sofferma su "I santi
e la santità popolare", a partire da quel «bisogno di Dio» che,
scrive, «come esigenza di una visione trascendente e totalizzante,
capace di dare senso e significato alla caducità della vita e della
storia, è una necessità innata e universale dell’uomo. In questo
senso la pietà popolare, in ambito cristiano, è un aspetto della
dimensione religiosa di grande significato umano e spirituale».
Partendo dal napoletano san Gennaro, Sepe cita altri
beneficiari della pietà popolare, "vero tesoro del popolo di
Dio": sant’Antonio di Padova, san Rocco, san Pio da Pietrelcina e
la beata Teresa di Calcutta.
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