PESACH |
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Un po’ di storia
Ma dove e quando nasce Pesah?
La radice psch probabilmente esprime l’idea del saltellare del gregge
che indica l’origine pastorizia della celebrazione. Forse all’inizio
coincideva con un’antica festa di primavera, in cui i pastori
esprimevano il loro ringraziamento per la nascita dei nuovi agnelli del
gregge. Poi nella storicizzazione biblica il “passare oltre”, il
“saltare” sono stati riferiti all’azione del Signore che risparmia
le case degli ebrei mentre colpisce i primogeniti d’Egitto (Es 12,33).
Ma c’è un altro rito agricolo che viene a coincidere con quello
pastorizio: la festa del “pane non lievitato” (mazzot). Gli azzimi
(assieme alle erbe amare) ricordavano a Israele sia il pane
dell’oppressione mangiato per anni in Egitto, sia la liberazione tanto
repentina da non consentire di far lievitare il pane. |
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Il rito Oggi il culmine, anche emotivo, dei riti pasquali è costituito dalla celebrazione del seder (lett. “ordine”), cioè la cena che si svolge la prima sera di Pasqua e, nella diaspora, anche la seconda. Si tratta di una pratica, di solito, seguita anche dagli ebrei meno osservanti. Essa è costituita da una serie di gesti ben precisi accompagnati dalla lettura dell’Haggadà shel Pesach (“Narrazione della Pasqua”). |
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Il testo dell’Haggadà,
che nel suo nucleo originario è precedente alla nascita di Cristo, si
presenta come un midrash, il
più celebre dei «piccoli credi storici» presenti nel Deuteronomio
(26,1-9). Durante la cena saranno bevute quattro coppe di vino e proprio
sulla seconda viene recitato l’Haggadà,
il racconto. Il
racconto dell’Haggadà inizia
così: |
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Un ebreo racconta... «La Pasqua che noi celebriamo è il ricordo dell’uscita dall’Egitto. Uscendo dall’Egitto, il popolo ebraico ha acquistato la libertà, è diventato un popolo in cammino verso la legge, donata 50 giorni dopo, e verso la terra. Noi celebriamo con la Pasqua una libertà ottenuta, una dignità acquisita. E noi benediciamo Dio nella cena pasquale come “colui che ha redento Israele” al passato. Infatti i commentatori si sono chiesti lungo il corso dei secoli, ma adesso siamo asserviti, dispersi, umiliati etc... che senso ha celebrare una dignità acquisita, che una volta acquisita nessuno ci potrà togliere? In quest’evento Dio ci ha sollevato dalla condizione ignobile della schiavitù e ci ha scelto come popolo, quindi celebriamo una scelta, un’elezione, un atto irreversibile come tale: tutte le schiavitù successive della storia non ci potranno cancellare. Però la Pasqua è un modello. È un modello di liberazione futura, per cui il tema della liberazione passa necessariamente attraverso il modello pasquale. Come ci ha liberato dalla schiavitù antica, ci libererà da tutte quelle successive. E la memoria di quella liberazione è la memoria che ci conduce, che ci lega come comunità ad un destino sacro e che ci porta alla fede della successiva redenzione. Quindi è legame essenziale con il passato, ma siccome abbiamo l’obbligo di trasmettere la memoria, è un modello proiettato sul futuro con una richiesta pressante di liberazione» (Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica in Roma).Giuseppe di PJ |
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Per
approfondire
"Breve
storia del popolo ebraico"
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Bibliografia
Alfredo
S. Toaf
“Haggadah di Pasqua”, Unione delle comunità
israelitiche italiane, Roma 1985 settima edizione
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